Dalla prossima stagione le calciatrici della serie A femminile diventeranno ufficialmente professioniste. 

Fino ad ora infatti non è esistito un inquadramento professionale che rappresentasse le calciatrici (o le sportive in generale, eccezion fatta per le giocatrici professioniste di golf) e i compensi a loro corrisposti per le partire sono sempre stati semplici rimborsi spese, senza tutele, malattia o contributi pagati.

Lo sport femminile ha sempre avuto un ruolo di secondo piano, basti pensare che delle più di quaranta federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI una sola è presieduta da una donna. Oppure a quando, nel 2015, il presidente della Lega Nazionale Dilettanti Belloli, si era lamentato dei fondi per le calciatrici, definendole “quattro lesbiche che giocano a calcio”.

Oppure, ancora, il caso più recente della pallavolista Lara Lugli, citata in tribunale dalla sua società per danni dopo essere rimasta incinta (citazione ritirata prima di arrivare in aula), caso che ha dato origine a un fondo della federazione per sostenere le giocatrici durante la maternità, fondo presente anche per le giocatrici di basket, e che, pur essendo un avanzamento, reitera una mentalità che mette le toppe e non risolve i problemi alla radice, e una concezione patriarcale per la quale si può creare, controvoglia, un fondo per consentire di essere madri, cosa che non tutte vogliono essere, quando invece sarebbe necessario dare un contratto che dia diritti e dignità a tutte.

Speriamo che quanto fatto dalla FIGC faccia da traino per nuove riforme nel mondo dello sport italiano per riconoscere il ruolo delle sportive.