Negli ultimi anni si è assistito in Italia ad un preoccupante fenomeno di recrudescenza dei movimenti di estrema destra, ed in special modo di formazioni dichiaratamente fasciste. Ne è stata investita anche Milano, ove, diversamente che in altri grandi centri italiani e lombardi, l’antifascismo è sempre stato valore molto sentito dalla cittadinanza; negli ultimi anni è andata infatti crescendo la presenza neofascista nelle scuole e nelle università e si sono fatte più spavalde le manifestazioni propagandistiche di varie formazioni di quest’area, che hanno visto il proprio culmine, alla fine del giugno scorso, nell’irruzione di militanti di Casapound in una seduta del Consiglio comunale in corso a Palazzo Marino. A fronte di una situazione tanto grave, le risposte della Milano antifascista – intendendo con questa espressione non tanto le realtà, istituzionali e di movimento, impegnate attivamente nella vita politica cittadina quanto l’insieme dei privati cittadini che si riconoscono nei valori dell’antifascismo e della Resistenza – appaiono flebili e troppo spesso inadeguate ad un così rapido incancrenirsi della piaga neofascista.

Soprattutto a seguito dell’episodio gravissimo dell’assalto di Casapound a Palazzo Marino le realtà dell’antifascismo milanese – questa volta inteso sì in senso militante – hanno dovuto prendere atto che un simile protagonismo delle destre estreme si può spiegare solamente alla luce di un’acquiescenza di fatto di grossa parte della cittadinanza milanese nei confronti del fenomeno. Si è assunta cioè la consapevolezza che, mentre sino ad alcuni anni fa l’antifascismo era elemento connaturato alla sensibilità collettiva dei Milanesi – ma il discorso si può senza dubbio in una certa misura estendere al di là dei confini cittadini -, oggi questo non è più vero, o lo è in misura molto inferiore che in passato. Da ciò consegue con evidenza che, in un contesto così profondamente mutato, vadano ricercati nuovi modi di praticare l’antifascismo, atti non tanto a permetterne la manifestazione come valore già profondamente radicato nel tessuto cittadino, quanto a favorirne un rinnovato attecchire nello stesso. In altre parole, il sentimento antifascista non può più essere dato per scontato come in passato e di conseguenza l’antifascismo militante non può più limitarsi a renderlo evidente tramite cortei e presidi, ma deve piuttosto impegnarsi a ricrearlo.

Inseriti pienamente nel percorso collettivo delle realtà antifasciste milanesi, come Rete della Conoscenza Milano ci siamo più volte interrogati sulle pratiche adeguate a dare nuove radici all’antifascismo in quegli ambiti dove primariamente si sviluppa la nostra azione politica, ovvero i luoghi della formazione e della conoscenza, scuole e università. Fondamentale abbiamo ritenuto fosse, in primo luogo, un’analisi attenta della recrudescenza dei fascismi, delle sue cause, delle sue manifestazioni, dei modi in cui queste vengono recepite dalla collettività. Tale analisi si configura non tanto come strumento di rifondazione dell’antifascismo, ma come acquisizione di elementi necessari ad individuare, appunto, il modo migliore per raggiungere questo scopo: ben diverse, infatti, sarebbero le risposte da darsi, rispettivamente, ad un’adesione convinta e diffusa all’impianto ideologico fascista o ad un’accettazione passiva ed apatica del fascismo come possibile soluzione ai problemi che l’individuo sente incombere su di sé. Quest’ultimo riteniamo essere il caso dell’Italia, e di Milano in particolare, dove il rinnovato protagonismo delle destre estreme è frutto non di una massiccia ideologizzazione in senso fascista della società, ma dello smarrimento prodotto in tanti dall’assenza, in un contesto difficile come quello attuale, di proposte che, avanzate da formazioni politiche di diverso orientamento, siano capaci di dare risposta alle incertezze. Appare comunque evidente, ma non per questo riteniamo superfluo esplicitarlo, il rischio fortissimo che la presente situazione di acquiescenza verso i fascismi evolva in un’adesione sentita agli ideali aberranti da essi professati.

È utile in questo soffermarsi brevemente sulle caratteristiche teoriche fondamentali del fascismo, delineandone una sorta di definizione minima che faciliti insieme la comprensione del fenomeno e la sua identificazione nei contesti concreti, anche quelli meno espliciti. Bisogna innanzitutto sottolineare che il fascismo consiste più in un insieme di ideologie, più o meno complesse, caratterizzate da tratti comuni ricorrenti, più che di una singola ideologia unitaria e sistematica. Derivando perlopiù da situazioni di forte frustrazione sociale, trova il luogo privilegiato dove costruire la sua base di consenso usualmente presso le classi medie e medio-basse (compreso, in Italia, il vecchio proletariato divenuto piccola borghesia), le più esposte alle crisi economiche e ai rivolgimenti politici. La costruzione di tale consenso inizia generalmente esacerbando e organizzando preesistenti paure della differenza (si pensi a come l’antisemitismo cristiano dell’Ottocento abbia costituito parte del brodo di coltura da cui è scaturito il nazismo), mirante a costituire un’identità sociale per chi ne è, o ne è rimasto, privo. Si può dire in questo senso che il fascismo sia costitutivamente identitarista e razzista. Tale identità si costruisce a sua volta trasformando in privilegio un tratto molto comune e di per sé poco significativo, ossia la comunanza di nazionalità, che non coincide automaticamente con quella di cittadinanza: basti pensare alle persecuzioni nei confronti degli ebrei, cittadini italiani e tedeschi, negli anni ’30 in Italia e Germania, o alle attuali proteste contro lo ius soli, che i neofascismi accusano de facto proprio di disgiungere il principio politico-giuridico di cittadinanza dal principio, puramente identitario-ideologico, di nazionalità. Il fascismo può allora essere analizzato come reazione identitaria (ossia reazione che si esplica costruendo un’identità “a scopo difensivo”, reattiva: si pensi a quanti si riscoprono cristiani solo dacché hanno a che fare con musulmani) a qualcosa che viene percepito come una minaccia ai propri valori e al proprio stile di vita, ma che nella pratica funge da vittima sacrificale volta ad espiare la propria condizione di insicurezza sociale. Tale fu l’europeismo fascista di Romualdi, che intendeva contrapporre ad americanismo e sovietismo, in piena Guerra Fredda, l’idea di Europa come nazione; tali sono i neofascismi oggi in ripresa in Europa, che coniugano ancora con una certa contraddittorietà, un nazionalismo in funzione anti-UE ad un occidentalismo in funzione anti-tutto (ossia, tutto ciò che non è percepito come occidentale); tale è anche l’islamo-fascismo dell’Isis, che mescola antiche tradizioni fondamentaliste ed ambizioni tutte politiche in funzione anti-occidentale ed anti-americana. Per questo motivo ogni fascismo è contraddistinto dal riferimento ad una tradizione opportunamente costruita e “predigerita”, che va a costituire un passato non storico, ma per così dire mitico, omogeneizzato, che non ha altra funzione che eternizzare e ipostatizzare lo status quo che si desidera preservare; così come da un rifiuto teorico della modernità coniugato ad una sua piena accettazione pratica: fascismo mussoliniano e nazismo celebravano i successi della propria industria ma cantavano le lodi della vita agreste, artigiana e pre-moderna, i terroristi di Ordine Nuovo fabbricavano modernissime bombe chimiche, mentre Al-Qaeda e l’Isis (non per caso spesso identificate come islamo-fasciste), hanno utilizzato per comunicare rispettivamente VHS e social network. Sotto lo stesso segno si colloca il rapporto del fascismo col capitalismo: rigetto a parole, pieno coinvolgimento nei fatti. Ulteriori tratti ricorrenti sono: il culto della morte, generalmente connesso ad un qualche militarismo e a idealizzazioni eroico-mitiche; un elitismo per così dire massificato, per cui la democrazia è considerata un inganno, la società un organismo interamente gerarchizzato, ciascuno disprezza “la massa” pur essendone pienamente parte; il culto del capo (“duce”, “guida”; “capitano”?; “megafono”?), visto come incarnazione e voce della volontà popolare; machismo, disdegno della donna e di tutto ciò che è considerato non virile o minaccia per la virilità, compresa la condanna di ogni forma di sessualità non conformista; varie forme di imperialismo; il già citato razzismo, che non è altro che la sistematizzazione-costruzione del nemico di un “sentimento” che si colloca a livelli di coscienza molto più bassi, e che pertanto può assumere varie forme: “di pancia”, come nel caso della Lega Nord; pseudoscientifico o biologico, come in Gobineau, Le Bon, Lombroso, Sighele e nel nazismo; “spirituale”, come in Evola.

Quanto alle cause che stanno alla base della situazione attuale, sono complesse ed evidentemente una loro trattazione esaustiva non può essere compressa nello spazio di questo contributo. Ci limitiamo quindi ad indicare in estrema sintesi quelle che riteniamo essere le condizioni di esistenza fondamentali della recrudescenza dei fascismi, da leggere, a nostro avviso, in un intreccio inscindibile, tale da svuotare di significato ogni preferenza accordata ad una piuttosto che ad un’altra di esse. La prima condizione – che peraltro sussiste oggi come sussisteva negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, quando si ebbe l’affermazione in Europa dei fascismi storici – è la violenta crisi economica e, di conseguenza, sociale, che ha investito l’Occidente, e l’Italia in modo particolarmente violento, a partire dal 2008. L’economia italiana ha infatti subito negli scorsi anni, dopo un periodo di sostanziale stagnazione della crescita con origini in realtà ben precedenti, una forte recessione accompagnata dal peggioramento delle condizioni di vita dei ceti medi e medio-bassi del Paese. In questo contesto si è fatta pesantemente sentire l’incapacità, da parte delle forze politiche personalistiche sorte dalla sostanziale disgregazione dei grandi partiti ideologici del Novecento, di delineare risposte capaci non tanto di dare soluzione immediata ad una crisi tanto violenta, quanto di attirarsi la fiducia di chi ne subiva i colpi. È questa la seconda condizione d’esistenza della recrudescenza dei fascismi, giacché un simile vuoto ideologico ha favorito l’emergere di formazioni populiste – e tra esse le realtà della destra estrema vanno senza dubbio inserite – caratterizzate dalla pretesa di saper delineare semplici soluzioni e, soprattutto, dalla capacità di indicare dei capri espiatori delle difficili contingenze italiane. Nel caso dei fascismi i capri espiatori sono stati e sono, e qui passiamo alla terza condizione di esistenza, i migranti che raggiungono l’Italia attraverso il Mediterraneo. La crisi libica tuttora in corso e la generale destabilizzazione dei Paesi Arabi del Nordafrica e del Medio Oriente ha in effetti determinato, a partire dal 2011, un certo incremento del fenomeno migratorio dall’Africa verso le coste dell’Italia meridionale, le cui origini sono, tuttavia, ben più remote. La gestione certamente inadeguata del fenomeno da parte delle autorità italiane ed europee, l’enfasi eccessiva posta dai mezzi d’informazione sul fenomeno e sulle sue dimensioni  – tale da farlo apparire agli occhi dei cittadini un esodo ben più drammatico di quanto i numeri non autorizzino a ritenere -, l’incapacità di approcciarsi ideologicamente al fenomeno da parte dei grandi partiti politici, hanno offerto ai fascismi ed alle formazioni xenofobe in generale l’occasione di scatenare una vera e propria guerra tra poveri, additando agli Italiani impoveriti i ben più poveri migranti come aggravante, se non vera e propria causa, del peggioramento delle loro condizioni di vita. E non è un caso se oggi lo slogan più tipicamente caratterizzante le destre estreme è il grottesco: “Prima gli Italiani”. Un quarto fattore, che ha intensificato la permeabilità della società italiana nei confronti delle istanze xenofobe dei fascismi, è stato il terrorismo stragista dell’ISIS, che a partire dal 2015 ha insanguinato più e più volte svariate nazioni europee, diffondendo terrore e islamofobia.

Queste dunque, a nostro modo di vedere, le cause fondamentali della recrudescenza dei fascismi in Italia; in questo scenario, pur con sicure peculiarità, anche Milano va iscritta a pieno titolo. D’altra parte anche a Milano, come in tutto il resto del Paese, si assiste ormai in modo diffuso al manifestarsi di un’altra grave conseguenza della crisi delle grandi ideologie novecentesche, che si affianca al vuoto ideologico nel quale fioriscono i populismi: l’impressione, fortissima agli occhi di quanti non si interessano più o meno attivamente di politica, che tutti i paradigmi ideali e valoriali si equivalgano, e che quindi, nel nome di un’assoluta libertà di espressione – ma quest’assolutezza, se assunta acriticamente, non rischia di rivelarsi un tradimento di quello stesso principio che pretende di consacrare? – tutti abbiano uguale diritto ad essere espressi. Anche il fascismo, quindi, e, cosa ancora peggiore, il nazionalsocialismo di matrice hitleriana hanno in fondo una propria legittimità; e siccome hanno una propria legittimità è sbagliato che se ne combatta il protagonismo, e anzi chi lo combatte agisce egli stesso in modo fascista. In sintesi – e ci si conceda un afflato letterario – la crisi delle ideologie ha distrutto la capacità del grosso della cittadinanza di discernere ciò che è moralmente legittimo da ciò che, in virtù della sua essenza sostanzialmente malvagia, non è mai stato ritenuto tale e ha generato una visione distorta di fascisti e antifascisti come tifoserie opposte soggette a giudizio secondo i medesimi criteri, entrambe egualmente passibili di condanna o di approvazione.

Come Rete della Conoscenza Milano siamo giunti alla conclusione che sia quest’ultimo aspetto della recrudescenza dei fascismi il primo da doversi combattere, e che esso possa e debba essere combattuto attraverso la spiegazione ai cittadini – e nel nostro caso specificamente ai soggetti in formazione – di cosa il fascismo oggi sia, di cosa esso creda e propugni e del perché, in conseguenza, esso vada ancora combattuto, oggi come nel secolo scorso. Crediamo sia cioè necessario, in un contesto in cui, come già detto, l’antifascismo non è più cosa da dare per scontata, rendere tangibili anche agli occhi dei profani della politica le ragioni per cui il fascismo non può essere considerato ideologia al pari delle altre, ragioni che sono peraltro insite nel sistema ideologico che esso propugna: sessismo, machismo, razzismo, intolleranza, omofobia. Trattandosi di tutta una serie di cancri contro i quali la nostra società si trova quotidianamente impegnata, riteniamo che mostrarne l’attualità nel pensiero fascista renda evidente come la lotta contro di esso non possa ritenersi conclusa con il Novecento, ma sia un’incombenza quanto mai attuale.

Per perseguire lo scopo sopra delineato, abbiamo deciso di concentrare le nostre attenzioni sull’analisi delle interazioni tra i fascismi e le questioni del genere e delle migrazioni, che soprattutto nell’ultimo periodo sono state di primario rilievo in Italia. Nel contempo riteniamo non ci si possa limitare ad osservare il fenomeno neofascista in un’ottica italiana, ma che sia invece necessario inquadrarlo in un contesto internazionale caratterizzato da un generale protagonismo delle destre europee, ma anche dalla recrudescenza del suprematismo bianco negli Stati Uniti e, per quanto possa apparire cosa a prima vista distante, da un islamismo estremista e politicizzato che si incarna oggi nell’ISIS come in passato in Al Qaeda: tutti questi fenomeni possono ricondursi, secondo uno spunto di riflessione che ci proponiamo di approfondire, al comune paradigma di reazione identitaria dinanzi al globalismo che ha caratterizzato gli ultimi decenni della nostra storia. Va da sé che, nel concentrarci soprattutto sulle questioni appena elencate, non intendiamo escludere la possibilità di analizzare, seppure quantomeno in un primo momento in modo meno sistematico, altri aspetti del fenomeno neofascista – ad esempio la sua pervasività sul web, già affrontata in un apposito incontro tenutosi alla Statale – o dei fascismi storici, che rimangono punto di riferimento imprescindibile per le odierne formazioni. In questo senso è inoltre utile considerare che pressoché ogni tradizione politica del Novecento (marxismo, liberalismo, neoliberalismo, anarchismo, cattolicesimo politico, revisionismo di destra, etc.) ha sviluppato proprie interpretazioni, tanto dei fascismi storici quanto del fascismo tout court: un approfondimento in tal senso potrebbe costituire fonte di ulteriori spunti all’analisi.

In ultimo è da esplicitare la piena consapevolezza, da parte nostra, del fatto che i migliori anticorpi contro i fascismi si creano non solo e non tanto attraverso la denuncia dell’ideologia da essi sostenuta, ma anche e soprattutto grazie alla creazione di paradigmi valoriali diversi ed antitetici, che non rimangano però enunciazioni astratte ma si traducano in attività politica concreta. Riteniamo cioè che per impedire l’attecchire di formazioni fasciste in un ambiente sociale non sia sufficiente denunciarne la natura, pur con le modalità da noi sopra descritte, né enunciare ideali diversi, ma dare a questi ultimi credibilità con il concreto attivismo quotidiano. Per esemplificare: se si vuole evitare che in un quartiere caratterizzato da una forte presenza di migranti si sviluppi quel sentimento xenofobo che tende a divenire brodo di coltura dei fascismi sarà necessario non limitarsi a deplorare la xenofobia né a predicare ideali di accoglienza, ma bisognerà realizzare esempi di buona integrazione che soli potranno convincere la cittadinanza della reale possibilità di praticare questa via piuttosto che quella, certamente più facile, del rigetto dello straniero.