Riprendiamo quanto scritto da UP – su la testa per lo spezzone “Pace, pane pianeta” assieme ad Arci:
Dopo due anni di crisi pandemica e un ventennio di crisi e stagnazione ci troviamo sull’orlo di un triplice drammatico precipizio: la crisi internazionale, la crisi sociale, la crisi climatica.
Il rischio di un conflitto nucleare aperto dall’ignobile aggressione russa e alimentato dalla corsa occidentale agli armamenti e facilitato dalla subalternità di un’Europa afona e incapace di promuovere una iniziativa diplomatica credibile e seria, i salari sempre più bassi e insufficienti a sostenere un costo della vita in costante crescita, la crisi alimentare che si aggrava di giorno in giorno per miliardi di persone, la nuova corsa ad approvvigionamenti di risorse fossili e la riapertura delle centrali a carbone, la speculazione finanziaria sui prezzi dell’energia, l’assenza di risposte concrete al riscaldamento globale sono questioni drammatiche estremamente intrecciate tra loro.
È il momento di una transizione sociale ed ecologica, è il momento di redistribuire le ricchezze e contrastare le diseguaglianze, di cambiare radicalmente politiche energetiche e attuare politiche di disarmo.
È il momento di impegnarsi per la pace, per il pane, per il pianeta.
In che modo tenere insieme l’obiettivo della pace con quello di una transizione giusta?
Come si costruisce un’economia permanente di pace contro un’economia straordinaria di guerra?
Il 5 novembre scenderemo in piazza rispondendo all’appello di Europe for Peace e insieme a Arci Nazionale saremo nello spezzone aperto a movimenti e realtà sociali che avrà parole d’ordine molto chiare: PACE, PANE, PIANETA.
L’appello al cessate il fuoco in Ucraina dev’essere l’inizio di un percorso di mobilitazione che rifiuti la logica armata del capitalismo fossile, promuova politiche di disarmo e metta al centro i bisogni reali delle persone.
Come è scritto nella piattaforma della manifestazione “Condanniamo l’aggressore, rispettiamo la resistenza ucraina, ci impegniamo ad aiutare, sostenere, soccorrere il popolo ucraino, siamo a fianco delle vittime. Siamo con chi rifiuta la logica della guerra e sceglie la nonviolenza” e invitiamo a leggere integralmente il testo che invita a manifestare per la pace.
L’appuntamento è sabato 5 novembre a Piazza della Repubblica alle ore 12.
PIANO STRAORDINARIO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA
Serve un piano straordinario di investimenti per la riconversione energetica e industriale del Paese, con una tempistica definita e breve che porti nel breve periodo l’Italia a una sostanziale autonomia energetica basata sulle rinnovabili, mettendo fine alla dipendenza strutturale dalle fonti fossili, siano esse russe, provenienti da altri regimi autocratici, o statunitensi. È il momento di abbandonare il fossile. Non solo quello di Putin. Serve una pianificazione pubblica per la riduzione rapida e progressiva dell’impiego di gas e fonti fossili e investimenti in ricerca, innovazione e formazione che assicurino la riconversione industriale, continuità della capacità produttiva e aumento dell’occupazione.
Bisogna rimettere mano alla tassonomia europea per gli investimenti sostenibili, escludendo il gas, i combustibili fossili e il nucleare come fonti energetiche di transizione, rendendola un effettivo strumento per indirizzare investimenti pubblici e privati. Le finte scorciatoie non fanno che sottrarre risorse allo sviluppo delle rinnovabili e allontanarci di fatto dalla decarbonizzazione.
È inoltre necessario approvare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, rimasto al palo da anni, come strumento essenziale di pianificazione per affrontare sul lungo periodo gli effetti della crisi climatica, tenendo conto delle diseguaglianze economiche e territoriali.
NAZIONALIZZAZIONE E CONTROLLO PUBBLICO DELL’ENERGIA
Lo Stato deve guidare ENI e le altre partecipate pubbliche, non viceversa. Realizzare davvero la transizione ecologica significa rimettere in agenda la (ri)nazionalizzazione delle partecipate pubbliche, a cominciare dal settore energetico, per assicurare un controllo pubblico, trasparente e democratico su di esse.
In primo luogo, la mission aziendale delle partecipate nel settore energetico e della difesa, come ENI, ENEL, SNAM e Leonardo, dovrebbe conformarsi agli obiettivi di una transizione ecologica giusta, così come la politica di selezione e retribuzioni del management dovrebbe legarsi al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e ampliamento delle rinnovabili.
FERMIAMO LA CORSA AGLI ARMAMENTI
Bisogna immediatamente bloccare l’incremento delle spese militari fino al 2% del PIL (da 25 a 38 miliardi annui) deciso dal governo Draghi secondo gli accordi NATO.
Le risorse dei cittadini non devono andare a gonfiare le casse dell’industria bellica, ma alla transizione giusta, per salvare il pianeta e rendere sostenibili i costi oggi pagati dai cittadini nelle bollette e nel caro vita.
Serve una mobilitazione internazionale per la messa al bando degli armamenti nucleari. Il ritorno concreto del rischio di una guerra globale ci impone di rilanciare un grande movimento per il disarmo. L’Europa non può essere solo un arsenale e un campo di battaglia, ma deve diventare la protagonista di un mondo multipolare, in cui la logica delle alleanze militari, ereditata dalla Guerra Fredda, venga superata in un nuovo schema di cooperazione globale, di risoluzione pacifica dei conflitti nell’ambito dell’Onu, di diritto internazionale che sappia assicurare libertà e sicurezza a tutti e a tutte senza bisogno di armarsi fino ai denti. È tempo di una nuova Europa, che superi i confini tra est e ovest dettati dalla guerra fredda. Sta a noi costruire dei ponti reali con soggettività politiche e sociali dell’Europa Centrale e Orientale.
La libertà e la sicurezza del popolo ucraino, così come dell’intera Europa centrale e orientale, non si otterranno con la corsa al riarmo, con il continuo rischio di escalation, con il conflitto strutturale ed eterno con i vicini russi che l’allargamento della Nato sottintende. L’Europa può e deve essere uno spazio di pace, dall’Atlantico agli Urali.
COME PAGHIAMO LE BOLLETTE? RINNOVABILI E REDISTRIBUZIONE
Nel 2022 gli utili di ENI sono cresciuti vertiginosamente. Gli utili netti di Eni sono stati 10,81 miliardi i profitti per i primi nove mesi del 2022 (nello stesso periodo del 2021 erano “solo 8.2 miliardi).
Le stime del governo parlano di 40 miliardi di extra-profitti realizzati dalle compagnie energetiche in Italia nei primi 6 mesi dell’anno. Mentre milioni di italiani si impoveriscono e fanno sacrifici per pagare bollette sempre più esose, c’è chi si arricchisce senza che il governo intervenga in modo serio. L’impennata dei prezzi dell’energia non ha avuto origine con il conflitto, ma con la speculazione finanziaria, tramite cui i prezzi di vendita sono stati ‘gonfiati’, mentre i prezzi di fornitura restavano invariati, essendo stati fissati da contratti pluriennali. Non basta la timida tassazione decisa dal governo Draghi, e già risoltasi in un flop. Gli extra-profitti sono rendite parassitarie e vanno aggredite con decisione: devono essere immediatamente e integralmente restituite.
Allo stesso tempo è imprescindibile una patrimoniale sulle grandi ricchezze per calmierare e rimborsare l’aumento delle bollette di luce e gas.
Contestualmente è necessario introdurre un tetto massimo al prezzo di luce e gas, che non venga pagato a spese di tutti i contribuenti, con la compensazione pubblica delle mancate entrate delle compagnie energetiche, come sta avvenendo in Germania o in Spagna.
Per farlo serve subito un nuovo piano europeo di investimenti contro la crisi energetica, un vero e proprio Energy Recovery Plan, e una riforma a livello europeo del mercato energetico. Questa riforma dovrebbe basarsi su una stretta regolamentazione dei mercati finanziari, sottraendo interi settori vitali per la società (da quello energetico al cibo) dalla morsa della finanziarizzazione. Solo rimettendo al centro gli investimenti pubblici e il ruolo dello Stato contro i mercati dei capitali e la finanza speculativa à possibile liberare le risorse di cui abbiamo bisogno per realizzare una transizione giusta, che non si traduca in costi più alti permilioni di persone.
Il problema è evidente, la risposta è chiara: rinnovabili,redistribuzione, investimenti pubblici e regolamentazione dei mercati.
COSTO DELLA VITA, SALARIO MINIMO E UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO
I salari sono sempre più bassi, il costo della vita sempre più alto. L’inflazione sfiora il 12%. La crescita dei salari è appena dell’1%.
Cinque milioni di lavoratori e lavoratrici hanno un reddito annuo inferiore ai 10 mila euro e sono ormai poveri. Molti contratti collettivi nazionali sono scaduti e spesso quando vengono rinnovati non tengono conto dell’aumento reale del costo della vita. Molti rapporti di lavoro non sono nemmeno coperti dalle previsioni dei contratti collettivi di lavoro, e spesso si tratta proprio dei contratti dei più giovani, quelli di ingresso nel mondo del lavoro. Ma soprattutto, ormai, alcuni contratti collettivi non prevedono più minimi retributivi conformi al precetto costituzionale di “giusta retribuzione”
Come sosteniamo con la campagna #SottoDiecièSfruttamento è diventata improrogabile una legge sul salario minimo che estenda i minimi retributivi dei contratti collettivi a tutti i lavoratori e lavoratrici, che preveda in ogni caso una soglia minima salariale oraria sotto la quale non bisogna scendere, e che sancisca il potenziamento del welfare per un vero reddito di cittadinanza. Salgono i costi? Che salgano i salari! Serve prevedere l’indicizzazione automatica e trimestrale del salario minimo rispetto all’aumento dei prezzi. Uno strumento che rafforza la contrattazione collettiva perché stabilisceun pavimento sotto il quale nessun lavoratore e nessuna lavoratrice può essere retribuita, consentendo ai sindacati di spingere la propria azione rivendicativa su livelli più avanzati, senza dover difendere condizioni salariali e normative sempre più regressive.
Davanti alla crisi sempre più acuta serve una terapia shock per l’occupazione: un milione di posti di lavoro pubblici. Servono medici e mediche, insegnanti, ricercatori e ricercatrici, ispettori e ispettrici del lavoro, professionisti e professioniste della cultura, dell’ambiente, e molto altro ancora. Un’iniziativa di questo tipo rafforzerebbe i settori più importanti della macchina statale, aumenterebbe l’efficienza dei servizi, immetterebbe energie e nuove competenze nell’amministrazione, metterebbe fine all’ingiustizia del precariato nella PA, darebbe un salario adeguato a tante e tanti che ne hanno bisogno.
È IL MOMENTO DI ATTIVARSI!
Per questo, per PANE, PACE E PIANETA, saremo in piazza a Roma il 5 novembre in uno spezzone con Arci aperto a realtà sociali e movimenti e continueremo a partecipare alle tante iniziative di mobilitazione che ci auguriamo caratterizzano questo autunno. Non possiamo continuare a essere spettatori di un mondo che va verso il baratro, mentre la politica è ridotta a uno show da seguire in tv o sui social. Serve il nostro impegno in prima persona, servono piazze, serve organizzazione. Riprendiamoci il presente e il futuro!