Da circa due mesi il normale svolgersi delle nostre attività, così come di quelle di molti altri, ha subito uno stravolgimento. Da un giorno all’altro, infatti, ci siamo ritrovati a non poter più portare avanti, secondo le modalità che ci erano consuete, la nostra vocazione di circolo che propone una socialità differente. Abbiamo dunque deciso di metterci in gioco e di provare, nel nostro piccolo, a rispondere a tutti quei bisogni che questa emergenza sanitaria ha portato con sé. Crediamo infatti che la politica, in primo luogo, serva ad affrontare collettivamente le difficoltà, a porre al centro i problemi sociali per risolverli con risposte comuni. In questa fase non solo sono emerse tantissime nuove povertà per le quali non sono bastate le normali misure istituzionali, ma si è anche manifestata l’insostenibilità del modello di città sino ad ora perseguito. La Milano degli investimenti privati, dei grandi capitali immobiliari, dei grandi eventi e delle week è un luogo inospitale per i suoi cittadini, soprattutto per quelli più poveri e in difficoltà. La conferma è arrivata dall’incontro con le moltissime famiglie aiutate con l’impegno intrapreso, famiglie che non avevano da mangiare e che ci hanno raccontato la loro storia e la loro situazione lavorativa prima e dopo la crisi. 

A Milano vige ormai da decenni un modello lavorativo improntato sulla flessibilità a qualunque costo. La crescita economica post crisi finanziaria del 2008 ha visto un aumento enorme del precariato e del lavoro povero e sottopagato. Le disuguaglianze sono aumentate e chi ne ha fatto le spese sono stati giovani e precari. Spesso ci sentiamo dire che a Milano il lavoro c’è e bisogna sapersi adattare: Milano è sì la città dove la disoccupazione è bassissima ma è anche la città dove il lavoro è meno sostenibile. Accettare condizioni di lavoro e di salario pessime sembra essere la regola. Dal cameriere al rider, dallo stagista al freelancer. Queste storture si manifestano anche sulle condizioni abitative: in città per uno studente o per un precario ad oggi è impossibile affittare una stanza a meno di 500 euro al mese, spesso in nero, e le cifre continuano a salire. Gli affitti alle stelle derivano da un modello di città che punta sia ad attrarre grandi capitali immobiliari, che devono quindi poi essere remunerati, sia a far accrescere la pratica dell’affitto breve senza alcuna regolamentazione. 

Ancora peggiori le condizioni per quanto riguarda l’edilizia popolare. Tutte le attenzioni vertono sulla creazione di una città appetibile per coloro che la visitano e vi investono. Durante l’emergenza abbiamo distribuito oltre 60.000 mascherine negli stabili popolari ed abbiamo toccato con mano la realtà di quei quartieri, la cui situazione ci è da sempre ben nota. Abbiamo visto migliaia di appartamenti pubblici vuoti e famiglie senza casa. Quartieri con caseggiati che somigliano molto a cattedrali nel deserto, dove i mezzi pubblici sono scarsissimi o non arrivano affatto e dove per raggiungere il supermercato o il medico di base bisogna camminare ben più di 15 minuti.

Serve una politica abitativa nella quale il pubblico torni ad avere un ruolo di regia, con la riqualificazione e l’aumento delle case popolari e la regolamentazione degli affitti, ma serve anche avviare riflessioni ed azioni che contrastino la ghettizzazione e la gentrificazione dei quartieri popolari attraverso la capillarizzazione dei servizi, che attraverso una riqualificazione diffusa contrasta le iniquità tra le diverse aree della metropoli.

Va però anche garantita la libertà di movimento di ciascuno con il potenziamento del trasporto pubblico, sia in termini di corse che di tratte, puntando anche alla gratuità del servizio, a partire da studenti, giovani e fasce più deboli, e con particolare attenzione, appunto, al collegamento con e tra le zone periferiche. 
Gli spazi dedicati al trasporto pubblico e leggero (corsie preferenziali, ciclabili, …) devono proliferare.
Oggi il problema della mobilità si pone in maniera più pressante a causa della necessità di mantenere il distanziamento spaziale, ma, con l’emergenza climatica che stiamo vivendo, un ripensamento era già necessario da molto tempo.

Non possiamo pensare di affrontare il virus in modo non sostenibile, soprattutto dal momento che viviamo in una delle aree con l’aria più inquinata del mondo. Non è possibile  incentivare l’utilizzo di mezzi a combustione privati  per muoversi in città mantenendo il distanziamento, né sperare che politiche educative che riversano le responsabilità sul singolo rappresentino una soluzione.
La pedonalizzazione della città passa prima da un ingente potenziamento del trasporto pubblico e poi dall’ampliamento della rete ciclabile fino ad almeno un quarto del chilometraggio totale urbano, più del doppio di quello che è oggi. 

La sostenibilità passa anche dal consumo di suolo. A Milano non è necessario costruire ulteriormente. Le case vuote, come abbiamo detto, sono ovunque. Non possiamo più permettere, in piena crisi climatica, che il verde venga sacrificato sull’altare della speculazione immobiliare. Bisogna azzerare il consumo di suolo, adeguare la quantità di verde pro capite – che deve avere una funzione sociale ed ecologica – agli standard europei e restituire suolo alla città tramite interventi di decementificazione; tutto questo a partire dalla tutela dei polmoni verdi già esistenti, come il parco agricolo sud, e dalla creazione di nuovo verde urbano in aree altrimenti destinate alla speculazione edilizia.
Risulta inoltre necessario un piano per aumentare la classe energetica degli edifici il cui costo non deve ricadere sui singoli.

Gli incentivi non sono sufficienti: anche con gli incentivi, infatti, non tutti possono permettersi l’installazione di tecnologie ecologiche. Se questi interventi non sono promossi dal pubblico per migliorare la vita di tutti, i vantaggi ricadranno sui pochi e i più, sul lungo periodo, subiranno le conseguenze economiche e sanitarie di queste scelte.

Per ripensare completamente il modello di città in cui vogliamo vivere è necessario un investimento sul sapere: ma questo sapere deve essere pubblico, libero e accessibile. Per questo le università milanesi devono dialogare costantemente con la cittadinanza e le amministrazioni e, al contempo, la città deve rispondere ai bisogni degli studenti, dagli alloggi a basso costo all’accesso, anche da fuorisede, a tutti i servizi utili.

Infine – in questi mesi ce ne siamo tutti resi conto – non è possibile lasciare da parte la cultura e la socialità, che sono parte integrante della salute, del benessere e della vita delle persone e strumenti di emancipazione. Per questo è essenziale creare le possibilità perché prosperino in forme accessibili a tutte e tutti, non vincolate né plasmate dal guadagno.
È necessario sostenere chi rende possibili queste forme di partecipazione e dà spazio agli artisti emergenti esclusi, in quanto tali, dai circuiti mainstream: fondi per permettere di dare un giusto compenso agli artisti senza ricadere su chi usufruisce dell’arte; non istituire solo fondi e bandi legati a progetti specifici, che obbligano gli enti ad operare in maniera schizofrenica per adattare le proprie iniziative a quelle richieste dai bandi, che non permettono di fare cassa per i costi di amministrazione, le spese fisse, di programmare a lungo termine; serve che i fondi siano un anticipo e non un rimborso spese, che rende impossibile, per chi non ha fondi personali, iniziare a fare socialità e cultura. 

La città in cui viviamo cambia rapidamente i suoi connotati e diventa sempre più ostile verso i suoi abitanti, a vantaggio degli investitori e dei gruppi di interesse economico; la cittadinanza è costretta a subire le trasformazioni urbane e ad adattarvisi con difficoltà. Perché l’Amministrazione riconquisti un ruolo di tutela dell’interesse pubblico è fondamentale che essa ascolti i bisogni, le proposte, i suggerimenti dei cittadini e dei city user, tramite processi di partecipazione reale e vincolante in tutte le fasi delle grandi trasformazioni urbane.

Questa crisi deve darci la spinta per cambiare quello che da tempo non funzionava e ripartire cercando di abbattere le diseguaglianze, sempre più acute nella nostre città, e ripensare un modello sostenibile per tutti, economicamente, socialmente ed ecologicamente. Lo hanno già detto in molti e noi lo ribadiamo: non possiamo tornare alla normalità perché proprio la normalità era il problema.