11221760_10153849390038267_2300019843170394886_nIl film LEA di Marco Tullio Giordana racconta la storia della vita e della morte di Lea Garofalo, uccisa il 24 novembre 2009 perché ha disubbidito alle regole della ‘ndrangheta. Il film non racconta però la storia di quei ragazzi che hanno deciso di accompagnare durante i processi Denise, la figlia di Lea, completamente sola. Già, perché la realtà non è stata esattamente quella raccontata dal film. Durante il processo per la morte di Lea non c’era spazio per noi ragazzi. Abbiamo dovuto sgomitare, giorno dopo giorno. Avevamo accanto i parenti degli assassini di Lea e abbiamo visto Carlo Cosco e gli altri imputati riderci in faccia. Ci siamo sentiti chiedere da una guardia del tribunale chi eravamo “noi” perché “loro” lo volevano sapere.
[dropcaps round=”no”]M[/dropcaps]a le cose ora sono cambiate. Adesso il nostro spazio ce lo siamo conquistato e in questi anni abbiamo cambiato la nostra città. Perché non dimentichiamo che Milano è stata la città che per anni ha tollerato la presenza abusiva della famiglia Cosco nella casa di viale Montello 6 e ha permesso che i cittadini della zona vivessero secondo delle regole non dettate dallo Stato ma dalla ‘ndrangheta. Milano però è anche quella città che per la prima volta ha visto dei giovani entrare di loro spontanea volontà in un’aula di tribunale, per stare accanto ad una ragazza della loro stessa età. Una ragazza che per colpa della ‘ndrangheta ha perso tutto, che ora vive sotto falsa identità e non può portare il nome che sua madre ha scelto per lei. Milano è anche quella città dove oggi possiamo dire che la storia di Lea Garofalo non è stata dimenticata. Milano le ha dato la morte ma ora è capace di darle una memoria degna di lei.
Sono passati sei anni dal 24 novembre 2009 e le cose qui sono cambiate. Per la prima volta Milano ha celebrato in pubblica piazza il funerale di una vittima di ‘ndrangheta (anche se va dimenticato che Lea per lo Stato non è vittima di mafia, perché mai si è parlato di associazione a delinquere di stampo mafioso durante i processi) e se Lea ora si affacciasse dalla finestra vedrebbe dei bellissimi giardini che portano il suo nome.
[dropcaps round=”no”]Q[/dropcaps]uesto però non basta più. Noi ragazzi quattro anni fa abbiamo scelto di stare accanto a Denise e di cambiare la nostra città perché mai più una donna venga strangolata, bruciata e seppellita in nome della barbarie della ‘ndrangheta.
Noi ragazzi quando abbiamo conosciuto la storia di Lea abbiamo aperto gli occhi e non siamo più riusciti a chiuderli. E come noi tanti altri.
Ma ora, dopo sei anni dalla morte di Lea Garofalo, tutto questo non basta. Milano deve cambiare, ancora. Dobbiamo dire sempre, ad alta voce, che noi la nostra città, che amiamo così tanto e così profondamente, la vogliamo pulita. Perché la mafia non uccide solo quelle vittime che seppelliamo. La mafia fa tante altre vittime, che non vediamo, che ci camminano davanti ogni giorno, tutte quelle persone vittime della povertà, del pizzo, delle tangenti, della corruzione, e del traffico di droga.
[dropcaps round=”no”]P[/dropcaps]er Milano è arrivato il momento di scrivere una nuova pagina di memoria. È arrivato il momento che il ricordo di Lea diventi impegno, concreto e tangibile. Il presidio Lea Garofalo invita la cittadinanza a far sì che il 24 novembre non diventi un’icona che si festeggia una volta all’anno. Vogliamo che sia un giorno di rinascita, di impegno, di presa di coscienza ma soprattutto di cambiamento. Lo dobbiamo alla nostra città, ma soprattutto lo dobbiamo a Lea.

Irene Latuati