Il prossimo 2 novembre verrà rinnovato il “Memorandum d’intesa sulla cooperazione […] tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana”, i cosiddetti “accordi con la Libia” stipulati dal Governo Gentiloni il 2 febbraio del 2017. Nonostante il Memorandum abbia avuto conseguenze catastrofiche sulle condizioni di vita dei migranti che transitano per la Libia, l’attuale governo italiano è intenzionato a prorogarlo applicando (forse) modifiche marginali che non contribuiranno a cambiare la drammatica situazione attuale.
Insieme al decreto Minniti-Orlando (convertito in legge il 14 aprile 2017), il Memorandum Italia-Libia è stato l’elemento cardine del disegno politico securitario e di repressione violenta delle migrazioni portato avanti dall’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti. Gli accordi, firmati senza alcun passaggio parlamentare (in aperta violazione dell’art. 80 della Costituzione), prevedono l’emissione da parte dello Stato Italiano di finanziamenti e supporti tecnico-logistici in favore degli organismi libici preposti al contrasto dei flussi migratori[1]. Secondo le stime di Oxfam, i finanziamenti italiani in favore dei Libici ammontano a un totale di circa 150,5 milioni di euro erogati tra il 2017 e il 2019, fondi a cui vanno sommati i circa 225 milioni di euro erogati dall’Unione Europea (di cui 91,3 milioni specificamente diretti alla Guardia Costiera). Questa spaventosa somma di denaro è stata determinante nel potenziare gli strumenti che il governo di Al-Sarraj adotta per rallentare i flussi migratori, tra cui i centri di detenzione[2] per migranti che, come specificato nell’introduzione del Memorandum, sono“sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico” (anche se, data l’instabilità della situazione politica libica, decine di migliaia di persone sono detenute in strutture non ufficiali gestite dalle organizzazioni criminali).
Ma com’è possibile che le violazioni dei diritti umani perpetrate quotidianamente in Libia siano state appoggiate e finanziate per tre anni dai governi italiani (di qualsiasi colore politico) e ad oggi si vada verso il rinnovo automatico del Memorandum senza che l’opinione pubblica italiana sia particolarmente scossa? Il motivo più plausibile è probabilmente il più semplice: gli effetti diretti degli accordi si ripercuotono sui migranti detenuti in Libia e non hanno manifestazioni visibili sul territorio italiano. È il risultato del processo di “esternalizzazione delle frontiere” in atto da anni: bloccare le partenze anziché gestire gli arrivi dà al governo italiano la possibilità di declinare le responsabilità riguardanti il trattamento dei migranti e al contempo potersi fregiare della diminuzione degli sbarchi (a questo link un esempio pratico). L’equazione “meno partenze = meno gente che soffre” è evidentemente fallace, ma la retorica della linea politica tenuta dai governi italiani negli ultimi anni tenta proprio di far passare questo messaggio.
Occorre specificare che a partire dal mese prossimo la situazione non rimarrà immutata dato che, per quanto possibile, peggiorerà. Il 15 settembre scorso il governo di al-Sarraj ha emesso un decreto atto alla neutralizzazione dell’operato delle Organizzazioni non governative (Ong) che entrano nella zona marittima SaR (Search and Rescue) libica. Il decreto si fonda su tre punti cardine: l’obbligo di autorizzazione preventiva da parte delle autorità libiche per ogni OnG che intenda operare in zona SaR libica[3], aumento dell’autorità di intervento della cosiddetta “guardia costiera libica” nel Mediterraneo e la possibilità di sequestro da parte delle autorità libiche delle imbarcazioni che vìolino in qualsiasi misura il decreto in questione[4]. Da adesso in poi (dato che il decreto è già operativo, anche se nessuna OnG è stata consultata direttamente), le motovedette della guardia costiera libica avranno sempre la precedenza nell’intercettare le imbarcazioni dei migranti in navigazione[5], il personale della guardia costiera libica avrà il diritto di salire a bordo delle imbarcazioni delle Ong in qualsiasi momento[6]e nessuna nave umanitaria potrà emettere segnali per facilitare la propria individuazione da parte di barche con migranti a bordo[7]. Inoltre, nel caso in cui una nave di una Ong violasse una norma del decreto e venisse condotta al porto libico più vicino, , i migranti a bordo non potrebbero scendere se non in “rari casi eccezionali e di emergenza” [8].
Insomma, il rinnovo del Memorandum e le normative interne fortemente securitarie adottate megli ultimi anni dai governi italiani e dal governo di accordo nazionale di al-Sarraj rispecchiano adeguatamente una linea politica sempre più perseguita a livello internazionale nella gestione del fenomeno migratorio: se non puoi reprimere le migrazioni, reprimi le condizioni di vita dei migranti.
L’attuale Ministro degli Esteri Luigi di Maio, durante un’informativa alla Camera, ha dichiarato di voler proporre ai Libici alcune modifiche al Memorandum, riguardanti nello specifico il progressivo svuotamento dei centri di detenzione (tramite rimpatri assistiti e corridoi umanitari) e maggiori margini d’intervento per l’ONU. Dato che la Libia non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati, che al-Sarraj ha la necessità tattico-politica di dimostrare di avere il controllo della situazione e che è specificato nello stesso Memorandum firmato dall’Italia che i centri di detenzione sono sotto l’esclusivo controllo libico, l’ipotesi che le modifiche proposte da Di Maio (che comunque avrebbero un impatto marginale) trovino applicazione è piuttosto remota. Il 6 novembre la Ministra Lamorgese riferirà sullo stato delle trattative
Il prossimo 2 novembre l’Italia si riconfermerà sostenitrice delle mattanze libiche: risulta difficile trovare una coincidenza più macabra del fatto che l’infausto Memorandum verrà rinnovato durante il Giorno dei Morti.
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[1]Art. 1 par. C del Memorandum: “La parte italiana si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell’Interno”
[2]Nell’introduzione del Memorandum si parla di “centri d’accoglienza temporanei”. Date le condizioni di vita all’interno di queste strutture, spesso paragonate ai lager nazisti, la denominazione “centri d’accoglienza” è inaccettabile e inopportuna.
[3]Art. 5 del Decreto “Sui trattamenti speciali con le organizzazioni internazionali e non governativi nella zona Libica di ricerca e salvataggio marittimo.”
[4]Artt. 16-17 del suddetto decreto
[5]Art. 8 del suddetto decreto
[6]Art. 11 del suddetto decreto
[7]Art. 14 del suddetto decreto
[8]Art. 12 del suddetto decreto