È da poco dopo la fine di Expo che il dibattito sull’utilizzo dell’area dell’esposizione e dei terreni agricoli circostanti ha assunto una retorica volta alla rivendita a privati, visti gli ingenti costi dell’evento, per recuperare fondi pubblici. L’asta però è andata deserta, comportando da parte degli enti locali la proposta (ormai scelta) di sfruttare le infrastrutture e i terreni disponibili per nuovi interventi edilizi, che permettano a partire dal 2022 il trasferimento delle facoltà dell’Università degli Studi attualmente site nel quartiere Città Studi. Ciò in compresenza del progetto Human Technopole, un centro di ricerca dedicato alle Scienze della Salute e della Nutrizione che sarà realizzato con contributi pubblici dall’Istituto Italiano di Tecnologia, scelto direttamente dal governo e il cui progetto è stato valutato senza alternative concorrenti.
Siamo di fronte a prospettive di speculazione economica non indifferenti, [*approfondimento costi] che vedono come conseguenza più grave lo spostamento dell’intera Facoltà di Scienze della Statale insieme a ricercatori, docenti e studenti, in una zona del tutto decentrata come Rho, nell’ottica di un polo didattico fortemente connesso al mondo delle imprese tramite Human Technopole, che sembrerebbe a esse subalterno, almeno secondo quanto emerso dalle poche informazioni rese pubbliche sul progetto.
Martedì 11, in un dibattito aperto alla cittadinanza di Milano 3 gestita dal Municipio, con la presenza dell’assessore Maran, del Presidente di Arexpo e già Rettore del Politecnico Azzone, e del Rettore della Statale Vago, è stato più che mai chiaro come il progetto di trasferimento delle facoltà della Statale da Città Studi si intrecci con interessi di natura privata o personale, che di certo non hanno come priorità la qualità della vita di studenti e abitanti del quartiere.
Le prime reazioni spontanee del pubblico si sono verificate in risposta ad affermazioni grottesche da parte di Azzone e Maran, come “Rho non è per nulla decentrata, è ben servita e comunque a Boston 15 fermate di metro non sono niente”. I presenti nella stanza hanno risposto con fischi, culminati con l’urlo “Che ne sanno a Boston di Lambrate” di un ragazzo del quartiere. Ad averci indignato ulteriormente è stata l’affermazione da parte del Rettore Vago, che ha sostenuto che lo spostamento di Città Studi a Rho fosse chiesto dalla città e andasse in favore della stessa, e che fosse legittimato democraticamente dal Senato Accademico dell’università; il Senato Accademico della Statale in realtà ha espresso solo un parere di interesse, visto che il progetto di rivendita e spostamento è ancora privo di bando.
Al di là di questo, l’idea del trasferimento di Città Studi non è stata condivisa con chi vive davvero il quartiere e l’università, cioè lavoratori, studenti fuorisede, ricercatori e docenti che non hanno avuto alcuna voce in capitolo, e che in ogni sede di confronto pubblico rigettano collettivamente le imposizioni di chi pretende di parlare per loro. L’unico momento di reale coinvolgimento della città sul futuro dell’area Expo si è verificato nel 2011, con un referendum in cui il 95,5% dei votanti (454.995 milanesi) ha scelto la conservazione del parco agroalimentare come idea funzionale all’eredità tematica dell’esposizione e all’economia della zona.
Negli interessi di chi si ignorano i processi democratici di base per smembrare un quartiere? In che modo lo svuotamento di gran parte della componente studentesca di Città Studi e lo spostamento dei luoghi di formazione di chi dovrà rimanere lì per anni è utile a chi la vive? Se il Rettore non ha ben chiara la missione sociale che un’Università statale dovrebbe rivestire all’interno del tessuto urbano, glielo ricorderemo con forza, rigettando qualunque imposizione dall’alto. Il progetto di trasferimento non risponde a logiche di interesse pubblico e finge di essere soluzione a problemi che possono e dovrebbero essere affrontati in altro modo: il vero investimento per estinguere il problema del sovraffollamento delle aule, delle biblioteche, delle residenze e delle mense è nella riconversione degli spazi vuoti e inutilizzati del quartiere, per i quali esistono già mappature e progetti praticabili al di là delle pure logiche speculative. In assenza di una gestione interuniversitaria dei servizi e degli spazi per gli studenti, è assurdo frammentare ulteriormente i bisogni dei due Atenei e spostarne uno per lasciare spazio all’altro.
Da studenti non vediamo un’opportunità nel trasferimento a Rho, che ci costringerà a percorrere tutta la città per raggiungere i luoghi di formazione e a subire ricatti abitativi su nuovi spazi di speculazione edilizia, a costo dello sradicamento di Città Studi. Non vogliamo un polo universitario alienato dalla realtà cittadina, con il rischio di una didattica orientata puramente al profitto in un territorio problematico per questioni logistiche, urbanistiche e sanitarie (parte dei terreni interessati deve essere soggetta a bonifica). Nessuno ci ha spiegato come e perché un investimento efficiente sui servizi che ci mancano sia crearne di nuovi da zero a Rho piuttosto che potenziare la rete esistente in Città Studi.
Da futuri ricercatori non condividiamo l’ottimismo per il progetto Human Technopole, e riteniamo inaccettabili le modalità con cui è stato concepito e finanziato, a partire dagli 80 milioni assegnati con decreto legge 185 del 25-11-2015 alla fondazione IIT senza concorrenti. Non è questa la soluzione alla fuga di ricercatori e giovani laureati italiani all’estero, se nel frattempo il Governo dice di non avere i fondi per finanziare i PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale).
Del resto anche i relatori hanno confermato che la combo Human Technopole e proposta di trasferimento non è stata ispirata dall’urgenza dei problemi che viviamo, ma da questioni di “economia di scala” (a detta di Vago) e di assenza di alternative: Azzone ha affermato candidamente che “È chiaro che a fronte del fallimento dell’asta si siano cercate soluzioni economiche differenti”. Ancor più grave è l’entusiasmo col quale si è parlato di una didattica che sfrutti la vicinanza allo Human Technopole per indirizzarsi meglio al mondo dell’impresa di partner come i colossi Bayer (che ha recentemente acquisito Monsanto), Novartis e Bosch. Se ciò venisse confermato ci troveremmo di fronte a un modello di università che trasmette saperi determinati da dinamiche economiche, quando di fronte alle sfide sociali e ambientali di questo secolo abbiamo più che mai bisogno che siano i saperi a determinare il mercato, e non viceversa.
Vogliamo prendere parola sui nostri reali bisogni, anche se c’è chi pensa di poterlo fare al posto nostro, perché saremo noi a vivere le conseguenze di scelte sempre più concentrate nelle mani di pochi e orientate al profitto, piuttosto che al miglioramento delle condizioni materiali della vita nei quartieri a più alta densità di giovani nella città.
Si continua a straparlare di consenso e numeri, numeri che non avete e dietro ai quali ci sono persone con cui non avete fatto ancora i conti.
Ci siamo noi, studenti, giovani lavoratori, dottorandi e ricercatori di Città Studi e Lambrate, e ora pretendiamo un reale protagonismo nei processi decisionali e la più totale trasparenza e condivisione nelle operazioni che riguardano le nostre vite. Non staremo a guardare in modo passivo un intervento ai danni di una parte viva della nostra realtà, per cui ci opponiamo fermamente allo spostamento delle facoltà dell’Università degli Studi e all’accettazione passiva della didattica che si prefigura con la compatibilità al modello Human Technopole.
Ci troverete nelle università, negli organi accademici e nelle piazze, pronti a difendere la nostra città dal deserto delle vostre idee.
Link Sindacato Universitario Milanese
*APPROFONDIMENTO COSTI
IIT è uno dei maggiori esempi in Italia di fondazione privata finanziata dallo Stato (1 mld € in 10 anni dal 2003, di cui solo il 50% è stato speso mentre la restante metà si trova in diversi conti bancari senza giustificazione per tale diversificazione) con solo l’1% del budget proveniente dal settore industriale privato. Essendo fondazione di diritto privato non ha obbligo di rendicontazione pubblica, e dovrebbe essere controllato da chi lo ha scelto per canali preferenziali. La sua finalità è “promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese oltre che il sistema di produzione nazionale”, e come ente non dispone di competenze specifiche su scienze della vita e nutrizione, ma soltanto della loro spendibilità nel sistema produttivo.
I costi del trasferimento di Città Studi, invece, sono stati stimati tra i 340 e i 380 mln di € (anche se secondo la consulenza di Cassa Depositi e Prestiti su un piano precedente i costi ammonterebbero 540 mln). 130 mln dovrebbero provenire dalle casse dell’Ateneo, 130 dalle istituzioni pubbliche e 100-130 (180 secondo CDP) dalla cosiddetta “valorizzazione” (in italiano: svendita del patrimonio pubblico ai privati) degli immobili vuoti della Città Studi.